Condividere la condizione umana (Mimesis) by Marc Augé
							
							
							
							
							autore:Marc Augé
							
							
							
							La lingua: eng
							
							
							
							Format: epub
							
							
							
																				
							
							
							
							
							
							editore: Mimesis
							
							
							
							
							
							
							
III. L’uno e l’altro, gli uni
e gli altri
Quando si tratta del nostro rapporto con gli altri, un’incertezza e un’ambiguità s’insinuano, sin dall’inizio, nelle parole utilizzate. Chi è questo “noi” al quale rinvia l’impiego dell’aggettivo “nostro”? Chi sono questi altri?
Di prim’acchito, l’interpretazione sarà: “noi” gli Occidentali e loro, i rappresentanti delle altre culture. Ma questo è indietreggiare per saltare meglio: che cos’è una cultura? Il relativismo culturale, nelle sue diverse mo-
dalità, suggerisce che si tratta di un insieme di pratiche che poggiano su una visione particolare del mondo. Gli etnologi presumono di aver ricostruito queste visioni del mondo e censito questi usi. Si stigmatizzano inoltre i processi di uniformazione legati alla modernità in termini che evocano parallelamente l’ottundimento della biodiversità: delle cul-
ture scompaiono come certe specie animali e vegetali in via d’estinzione. Questo parallelo evidentemente non regge, allorché si considera che c’è una sola specie umana. Non si tratta che di una pericolosa e perniciosa metafora.
Bisogna dunque tornare sulla nozione di alterità (gli altri) e su quella d’identità (alla quale rinvia evidentemente l’esistenza presunta di un “noi” identificabile).
Tutta la difficoltà dipende dal fatto che noi impieghiamo gli stessi concetti per ren-
der conto dell’individuo e delle collettività. Così facendo, stravolgiamo la nozione di relazione e ignoriamo tutto il lavoro simboli-
co, vale a dire la messa in ordine del tem-
po e dello spazio, da cui essa deriva. Infatti,
sappiamo bene che l’alterità è all’origine del-
l’identità di ogni individuo, che si costruisce sin dall’inizio attraverso la relazione con gli altri, non soltanto con i suoi genitori, ma con tutti coloro che, nei contesti più disparati, lo istruiscono e lo educano direttamente o indirettamente.
È qui il caso di richiamare i contributi dello strutturalismo di Lévi-Strauss come ap-
paiono nell’introduzione all’opera di Marcel Mauss: l’a priori del simbolico inteso come un’esigenza improvvisa concomitante al sorgere del linguaggio (“Fin dall’apparizione del linguaggio è stato necessario che l’universo significasse”) e la necessaria alienazione che ne deriva di ogni esistenza individuale dalla simbolica relazionale: “È propriamente parlando colui che chiamiamo sano di mente che si aliena, poiché accetta di vivere in un mondo definito soltanto attraverso la relazione tra me e gli altri”.
Più questa definizione è rigorosa e rigida, elemento questo che caratterizza la maggioranza delle società studiate dalla prima etno-
logia, più il senso sociale (l’insieme delle relazioni) s’impone a spese di una “libertà individuale” che, letteralmente, non ha senso.
Si potrebbe senz’altro fare due conside-
razioni relativamente al tema dell’a priori del simbolico: la prima è che la costruzione simbolica non è mai puramente arbitraria: essa riposa su delle osservazioni empiriche che si trovano nei saperi detti tradizionali; la seconda osservazione consiste nel fatto che le relazioni così strutturate sono sempre racchiuse in un rapporto di forza, un rapporto elementare di potere che è la perversione originaria di ogni relazione sociale, e (questo) spiega, per esempio, la disuguaglianza che intercorre in tutte le culture umane tra la condizione maschile e quella femminile.
La “teoria sociale” non è mai sorta dal nulla: nelle poche comunità umane in cui si possa afferrarla, essa è sempre frutto dell’osservazione e della speculazione intellettuale.
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