Diavoli stranieri sulla Via della Seta by Peter Hopkirk

Diavoli stranieri sulla Via della Seta by Peter Hopkirk

autore:Peter Hopkirk [Hopkirk, Peter]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


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VON LE COQ FA A TESTA O CROCE

I monaci buddhisti che mille anni fa costruirono il grande complesso monastico di Bezeklik ne scelsero la posizione in modo molto ingegnoso. Perfino ai tempi di von Le Coq un visitatore di quella regione remota e drammaticamente arida avrebbe potuto passare a pochi passi dal sito senza accorgersi della sua esistenza. I suoi cento e passa templi scavati perlopiù nella roccia erano distribuiti lungo uno stretto terrazzo arrampicato in alto sulla parete di un dirupo. Per arrivarci l’unico modo era scalare un sentiero serpeggiante i cui tornanti conducevano alla sommità del dirupo e poi la costeggiavano, fino a una scala che scendeva precipitosamente al monastero, una decina di metri più sotto. Per garantirne sia la sicurezza, sia l’isolamento, gli architetti avevano innalzato un muro in corrispondenza dell’unico punto da cui era possibile scorgere il monastero dal basso, per impedirne la vista ai viandanti. Oggi questo vasto alveare di templi si erge ancora, destando profonda impressione nel viaggiatore che abbia il coraggio di percorrere la strada accidentata che vi conduce. Ma il nome di Albert von Le Coq non gode di grande prestigio da quelle parti.

Al loro arrivo i due tedeschi stabilirono il quartier generale nell’edificio di un vecchio tempio, in precedenza abitato da caprai, all’estremità meridionale del complesso monastico. Le pareti di questo e di altri templi vicini una volta erano ornate da pitture murali, ormai rovinate dal fumo dei fuochi accesi dai caprai. Von Le Coq e Bartus decisero perciò di esplorare i templi all’estremità settentrionale del terrazzo, la cui integrità era stata protetta dalle sabbie cadute per secoli dalle colline sovrastanti, che li aveva riempiti dal pavimento al soffitto. Entrato in uno dei più grandi, von Le Coq si arrampicò in precario equilibrio sulla montagna di sabbia ammucchiata contro una parete. All’istante i suoi passi provocarono una piccola valanga sotto di lui. «Come per magia» scrisse «vidi all’improvviso sulle pareti scopertesi alla mia destra e alla mia sinistra delle splendide pitture, dai colori freschi come se l’artista le avesse appena finite». Chiamò eccitato Bartus, che venisse ad ammirare la sorprendente e fortuita scoperta. Dopo aver esaminato quel che si vedeva degli affreschi, i due uomini si strinsero solennemente la mano, comprendendo di essere di fronte a qualcosa di memorabile. «Se fossimo riusciti a portar via quei dipinti» scrisse von Le Coq in Buried Treasures of Chinese Turkestan «il successo della spedizione sarebbe stato assicurato».

Dopo aver faticosamente spalato grandi quantità di sabbia, si trovarono davanti alle figure dipinte di sei monaci buddhisti, a grandezza maggiore del naturale, tre per ciascun lato dell’ingresso. Altre ne seguirono via via che rimuovevano la sabbia. Alcune figure erano riconoscibili come indiani dalle tuniche gialle, e i loro nomi erano scritti accanto in alfabeto centroasiatico brahmi. Altre, in tuniche viola, provenivano chiaramente dall’Asia orientale, e i loro nomi erano scritti in uighuro e cinese. Von Le Coq sostiene nel suo libro che quei ritratti millenari non erano i soliti stereotipi fatti con lo stampino, ma tentativi di ottenere una somiglianza reale.



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