Ebrei in Europa by Anna Foa

Ebrei in Europa by Anna Foa

autore:Anna Foa [Foa, A.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: eBook Laterza
ISBN: EPUB9788858114346-131157
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2004-01-23T16:00:00+00:00


4. Il ghetto e l’esterno

La consapevolezza della frattura rappresentata dalla chiusura del ghetto non raggiunse immediatamente il mondo ebraico. Una lunga abitudine a provvedimenti parziali e sovente revocati, minacce, oscillazioni, rendeva gli ebrei incapaci di cogliere appieno la portata della svolta. Tra i documenti dei notai ebrei che si riferiscono agli atti stipulati dopo la Cum nimis absurdum – atti in gran parte motivati dall’imposizione a vendere le proprietà degli ebrei sancita dalla bolla – il primo riferimento al ghetto appare nel 1557 e riferisce soltanto che «il papa aveva ordinato che tutti gli ebrei dovevano vivere insieme» (Stow 1990).

La percezione di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno elaborata dagli ebrei nell’età del ghetto è, in realtà, ambivalente e contraddittoria. Da una parte, c’era un’incertezza di base, dovuta alla precarietà dell’esistenza entro le mura del ghetto, tra sovraffollamento, pressione proselitistica e miseria crescente. Dall’altra ci troviamo di fronte ad un inaspettato aumento della sicurezza della propria identità, dovuto all’effetto rassicurante provocato da una delimitazione così netta dei propri confini. Queste due percezioni contrastanti coesistono e finiscono per rappresentare le due facce di una medesima situazione, e per esprimere il paradosso fondamentale del ghetto.

Il ghetto romano rappresenta anche sotto questo aspetto il caso più significativo, anche perché il rapporto diretto con le autorità pontificie radicalizzava alcuni aspetti della pressione esterna, dalle spinte alla conversione alle vessazioni fiscali e giudiziarie, pur senza spezzare quella sorta di cordone ombelicale che esisteva da secoli tra papato ed ebrei di Roma. L’insicurezza è forte e diffusa, e la sua influenza profonda sulla vita ebraica comincia solo ora ad essere valutata in una prospettiva non soltanto esterna. Essa si rivela nei comportamenti collettivi e individuali, nelle tensioni, nelle risse frequenti, soprattutto a partire dal primo Seicento, quando la situazione delle comunità si fa sempre più precaria dal punto di vista economico, mentre i disastri naturali, soprattutto le grandi epidemie di peste come quella terribile del 1656, non risparmiano certo gli spazi sovraffollati del ghetto (Milano 1964; Harris 1967). La seconda ci è rivelata da una serie di segnali, che indicano comportamenti collettivi e sociali di grande agio e sicurezza di sé. I rapporti degli ebrei del ghetto con i convertiti possono essere letti in questa luce, e mostrano il persistere dei legami familiari e sociali, pur entro le tensioni create da un atto tanto radicale e definitivo (Stow 1992b). Dentro questi comportamenti, e anche dentro quelli di rottura dei vincoli familiari, come ad esempio i tentativi di aggirare la legge che impediva che i neofiti fossero diseredati dalla famiglia rimasta ebrea, non traspare un’ansia particolare di protezione dell’identità religiosa comunitaria o la sensazione di un pericolo realmente grave.

Alcuni esempi possono illustrare meglio questo aspetto. Nel 1557-58, l’Inquisizione sferrò un grave attacco al normale svolgimento della vita religiosa ebraica chiudendo tre delle sette sinagoghe romane, la Quattro Capi, la Scola nova e la ashkenazita, in seguito al sequestro nei locali della Scola ashkenazita di un’opera esegetica proibita. Le sinagoghe furono riaperte dopo molti mesi, dietro il pagamento di una forte multa.



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