Esiste un mondo a venire? by Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Castro
							
							
							
							
							autore:Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Castro [Castro, Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de]
							
							
							
							La lingua: ita
							
							
							
							Format: epub
							
							
							
																				
							
							
							
							
							
							editore: nottetempo srl
							
							
							
							pubblicato: 2017-04-03T21:00:00+00:00
							
							
							
							
							
							
Antropomorfismo contro antropocentrismo
Se il concetto amerindio di “natura”, inteso come ciò che designa la sfera degli esistenti non umani, è differente dal nostro – i non umani sono degli ex umani che conservano un lato umano latente e segreto, non percepibile in condizioni normali – anche il loro concetto di umanità o di “cultura” sarà, per forza di cose, differente. Gli amerindi fanno parte della gigantesca minoranza di popoli che non sono mai stati moderni, poiché non hanno mai avuto un concetto di Natura e quindi non l’hanno mai persa né hanno mai sentito il bisogno di liberarsene. È da notare che, tra la nostra umanità e la loro, come tra il nostro mondo e il loro, non c’è una semplice differenza di visioni culturali dello stesso mondo naturale (il mondo cosí come viene descritto in modo piú o meno completo dalle scienze moderne); né si tratta di differenti mondi culturali immaginati da una stessa umanità in quanto specie naturale. Le due variabili dell’equazione antropocosmologica hanno bisogno di essere modificate simultaneamente, il che sposta il problema; non perché le due variabili siano in “correlazione”, ma perché la stessa correlazione, cosí come la immaginiamo – per affermarla o negarla metafisicamente –, perde il suo senso nel momento in cui viene tradotta in “termini” amerindi.
Parliamo beninteso del cosiddetto “prospettivismo amerindio”, a proposito del quale non si può evitare di spendere un paio di parole, anche correndo il rischio di veder fuggire i lettori che ne hanno già sentito troppo parlare. “Prospettivismo” è il nome che Tânia Solze Lima ed Eduardo Viveiros de Castro12 hanno scelto per designare una nozione, molto diffusa nell’America indigena, secondo cui ogni specie di esistenti vede se stessa come umana (anatomicamente e culturalmente), poiché ciò che vede di se stessa è la sua “anima”, un’immagine interna che è come l’ombra o l’eco dello stato umanoide ancestrale di tutti gli esistenti. L’anima, sempre antropomorfa, è l’aspetto degli esistenti che essi vedono quando guardano verso o interagiscono con gli esseri della stessa specie – è questo che, in verità, definisce la nozione di “stessa specie”. La forma corporea esterna di una specie (frequentemente descritta come un “abito”) è il modo in cui quest’ultima viene vista dalle altre specie. Cosí, quando un giaguaro guarda un altro giaguaro, vede un uomo, un indio13; ma quando guarda un uomo – quello che gli indios vedono come un uomo – vede un pecari o una scimmia, poiché è questa la selvaggina piú apprezzata tra gli indios amazzonici. Cosí, tutto ciò che esiste nel cosmo vede se stesso come umano; ma non vede le altre specie in quanto tali (tutto questo, è inutile sottolinearlo, si applica ugualmente alla nostra specie). L’“umanità” è sia una condizione universale che una prospettiva strettamente deittica e autoreferenziale. Specie differenti non possono occupare il punto di vista dell’“Io” nello stesso momento, a causa della restrizione deittica: in ogni incontro qui e ora tra due specie, ce n’è per forza una che finisce per imporre la sua umanità, il che vuol dire spingere l’altra a “dimenticare” la propria umanità14.
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