I campi del duce by Carlo Spartaco Capogreco

I campi del duce by Carlo Spartaco Capogreco

autore:Carlo Spartaco Capogreco
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Italia - fascismo
pubblicato: 2019-08-18T16:00:00+00:00


internati

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Riferimenti archivistici

Acs, Mi, Dgps, Dagr, Cat. Massime M4, b. 136, f. 16 (Campi di concentramento), s.f. 2 (Affari per provincia), ins. 41 «Teramo», ss.ff. 6, 15.

istonio (Chieti)

Il campo di Istonio (l’odierna Vasto) operò, dalla metà di giugno del 1940. Venne allestito in due distinti edifici situati a circa cento metri dalla spiaggia, nei pressi della stazione ferroviaria: un albergo (mai ultimato) appartenente alla famiglia Ricci, capace di circa 100 posti letto, e un villino di proprietà della famiglia Marchesani, (già utilizzato, in precedenza, come caserma dalla guardia di finanza) della capacità di circa 80 posti. Il servizio di guardia venne espletato dai carabinieri che, dal 1942, poterono servirsi anche di alcune garitte piazzate in prossimità dei due edifici, distanti pochi metri l’uno dall’altro.

Diretto da un commissario di pubblica sicurezza (inizialmente Vincenzo Prezioso, originario del luogo), quello della Marina di Istonio fu un tipico campo per oppositori politici italiani, accogliendo anche alcuni internati «comuni» e fascisti «caduti in disgrazia». Gli antifascisti provenivano da varie regioni italiane, ma principalmente dalla Lombardia e dalla Venezia Giulia. Tra i comunisti si ricordano il milanese Giovanni Grilli e il calabrese Eugenio Musolino, che, sulla loro esperienza d’internamento, hanno lasciato ampie testimonianze. Tra i socialisti vi furono Giuseppe Scalarini (allora quasi settantenne), e Giulio Guido Mazzali, futuro direttore dell’«Avanti!». Tra i liberali lo scrittore Mario Borsa, futuro direttore del «Corriere della Sera», e il critico d’arte Raffaello Giolli, direttore della rivista «Domus» (in seguito deportato a Mauthausen dove avrebbe perso la vita), internato insieme al giovane figlio, Paolo.

Inizialmente le condizioni di vita non furono eccessivamente dure: i due edifici erano in buone condizioni e ad alcuni internati era permesso, al mattino, di frequentare la biblioteca, sita nel paese alto; tutti quanti potevano «circolare» per buona parte del territorio comunale e - non essendoci una mensa interna al campo - accedere ad alcune trattorie «convenzionate». Alcuni internati improvvisarono persino un allevamento di conigli, che i contadini della zona ammiravano come se si trattasse di un centro di zootecnia d’avanguardia. Col passare del tempo, tuttavia, la situazione andò peggiorando. Soprattutto dopo la scoperta, fatta dalla direzione nel gennaio 1941, di una presunta organizzazione sovversiva diretta dagli internati milanesi Angelo Pampuri e Mauro Venegoni, futura medaglia d’oro al valor militare.

Dopo quell’episodio furono effettuati diversi trasferimenti punitivi alle isole Tremiti, e il regime d’internamento subì diverse restrizioni. Tra l’altro, l’area concessa alla «libera uscita» fu ridotta ai soli 50 metri antistanti i due edifici del campo e venne allestita una mensa interna (ma non autogestita) il cui servizio provocò ripetute lamentele da parte degli internati. Nel marzo 1943, per protestare contro il cibo giudicato immangiabile, i reclusi inscenarono un clamoroso sciopero della fame, in seguito al quale otto di loro furono associati alle carceri giudiziarie. Nel giugno del 1943, 31 internati «non particolarmente pericolosi», vennero mandati - quali manovali, muratori e operai - al campo di Farfa, in via di costruzione.

Va detto che, già dall’autunno del 1941, le autorità militari e civili avevano sollecitato la chiusura del campo «per motivi



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