Il caos italiano by Paolo Mieli

Il caos italiano by Paolo Mieli

autore:Paolo Mieli [Mieli, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 2017-10-09T16:00:00+00:00


Carli e gli eccessi di keynesismo

Per comprendere cosa è stato il nostro Paese nel secondo dopoguerra si deve tener presente che «il ventennio fascista aveva costituito la versione italiana di processi globali, tanto che la nascente democrazia non poté non prenderne atto, salvaguardando e anzi potenziando le misure strutturali che la dittatura aveva assunto». Da questa considerazione tratta dalla Storia economica d’Italia di Rolf Petri prende le mosse Paolo Soddu in La via italiana alla democrazia. Storia della Repubblica 1946-2013. Dopo la Prima guerra mondiale, scrive Soddu, «l’Italia aveva fornito un’alternativa credibile e seducente alla democratizzazione pluralista, con l’ingresso autoritario delle masse guidate da un leader carismatico nella vita pubblica». Il fascismo «fu anche modernità e non mera opera di conservazione» e questa modernità lasciò «tracce profonde» nella stagione politica successiva alla caduta e all’uccisione di Benito Mussolini. Il fascismo «fu la prima forza di massa che dalle Alpi alla Sicilia organizzò, sia pure – elemento decisivo – in modo autoritario, politicamente gli italiani». E che «sebbene essi non volessero ammetterlo, lasciò loro un’eredità in certo senso avvelenata»; tanto più che «la liberazione da quel senso totale, conforme e riflesso del pluralismo asfittico del paese, richiese tempi lunghi». Di quella natura, infatti, «partecipavano, in maggiore o minore misura, tutte le culture politiche degli italiani». La fine dell’Italia fascista aprì le porte «all’Italia plurale». Un’Italia che «ereditò dalla dittatura fascista forme di socializzazione politica che riadattò alla dimensione democratica». Sicché trasformò «regnicoli» e «camerati» in cittadini. Mantenne i «caratteri dissociativi» che provenivano dal suo passato secolare. Ma questi caratteri «andarono via via indebolendosi, tanto che tutte le culture politiche tentarono – senza riuscirci – di riformare se stesse e i partiti nei quali si identificavano». Alla fine del Novecento la morte dei partiti storici, conseguenza della fine della guerra fredda, «ma frutto di ragioni depositate nel tempo e dell’intrinseca difficoltà a mutare se stessi» aprì la via a una democrazia dell’alternanza. Che assunse, sì, «toni sguaiati» e tuttavia pose le fondamenta di «un pluralismo diffuso, non meramente elitario, antropologicamente inclusivo». Anche se «del passato conservava la demonizzazione dell’avversario».

Protagonisti del libro di Soddu sono i grandi della storia dell’Italia repubblicana: Alcide De Gasperi, Pietro Nenni, Amintore Fanfani, Palmiro Togliatti, Giovanni Malagodi. E poi Aldo Moro, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Enrico Berlinguer. Ma un’attenzione particolare è dedicata ai «laici», a partire dagli azionisti e a finire con Carlo Azeglio Ciampi, anche lui reduce dal Partito d’Azione. L’intransigenza del Partito d’Azione e del Psiup sulla questione istituzionale indicava una via alla democrazia che cancellasse ogni traccia del fascismo, facendo interamente i conti con esso. Il PdA si proponeva di tradurre in realismo politico l’idea gobettiana che la riforma nel Novecento assumesse un sapore politico, cioè nel modo di intendere, organizzare, orientare, nutrire lo stare insieme. Laddove molto importante era stata l’evidenziazione da parte di Giovanni Amendola del carattere tutto secolare del nesso religione-democrazia. L’azionismo, nonostante, o forse a ragione della morte in fasce della sua forma partito, attraversò tutta la vicenda repubblicana perché «dotava



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