Il cuore e la spada by Bruno Vespa

Il cuore e la spada by Bruno Vespa

autore:Bruno Vespa [Vespa, Bruno]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Political Science, Comparative Politics
ISBN: 9788852017285
Google: YpRt-k0VDEEC
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2010-11-30T23:00:00+00:00


E il Cavaliere disse: «Qui bisogna fare un partito»

Con una Dc in caduta libera su tutto il territorio nazionale, alle amministrative del novembre 1993 il Pds e i suoi alleati di sinistra fecero cappotto. Conquistarono, infatti, i comuni di Roma con Francesco Rutelli, di Napoli con Antonio Bassolino, di Torino e Venezia con gli accademici Valentino Castellani e Massimo Cacciari, di Trieste con l’imprenditore Riccardo Illy, di Genova con il magistrato Adriano Sansa, di Palermo con Leoluca Orlando, uscito dalla Dc per fondare la Rete. Tuttavia, la vera sorpresa di quelle elezioni fu il Msi, che a Roma toccò il 32 per cento, quasi il doppio del Pds e quasi il triplo della Dc. E arrivò oltre il 31 per cento a Napoli, anche qui ottenendo quasi il triplo dei voti della Dc e un terzo in più di quelli del Pds. («La Dc» mi disse Gianfranco Fini «non aveva compreso il cambiamento impresso dalla caduta del Muro di Berlino. La corruzione di Tangentopoli, certo, ne aveva eroso il consenso, ma la vera svolta fu che i cittadini erano finalmente liberi di scegliere secondo le loro convinzioni.») Per la prima volta gli elettori potevano scegliersi direttamente il sindaco, e la campagna elettorale fu animata dai roventi confronti televisivi tra Fini e Rutelli e tra Bassolino e Alessandra Mussolini. Al ballottaggio, Fini arrivò a un incredibile 47 per cento, la Mussolini al 41.

Tra il primo e il secondo turno c’era stata un’altra svolta, di cui nessuno poteva immaginare, allora, le future e clamorose conseguenze politiche. Martedì 24 novembre 1993, due giorni dopo il voto, all’inaugurazione di un ipermercato a Casalecchio di Reno, in Emilia, alla domanda di un giornalista su chi avrebbe votato se avesse dovuto scegliere il sindaco di Roma, dov’erano in ballottaggio, appunto, Fini e Rutelli, Berlusconi rispose senza esitare: «Fini». Apriti cielo. Gran parte della classe politica lo accusò di essere una minaccia per la democrazia, e la grande stampa lo crocifisse.

La domenica seguente, giorno del ballottaggio, il Cavaliere non parlò di Fini, ma ribadì la sua intenzione di contattare Bossi, Segni e Rosy Bindi per costituire una grande coalizione in grado di sconfiggere le sinistre alle elezioni politiche programmate per la primavera del 1994. Interpellato da Dario Di Vico del «Corriere della Sera» subito dopo l’esito finale delle amministrative, disse: «Tutto è andato secondo le previsioni. Appare chiaro che, per evitare una vittoria della coalizione strettasi intorno al Pds, occorre scendere in campo con un’alleanza delle forze democratiche che credono nel liberismo». Di fronte alla perplessità del giornalista, che stentava a immaginare il Senatùr a braccetto con la pasionaria dc, Berlusconi dichiarò che, qualora il suo tentativo fosse fallito, avrebbe bevuto «l’amaro calice» e sarebbe sceso personalmente nell’agone. «Da diversi sondaggi» aggiunse «emerge che su certe mie prese di posizione c’è stato un plebiscito.»

In realtà, era da cinque mesi che il Cavaliere aveva preso in considerazione l’ipotesi di poter scendere direttamente in campo, anche se avrebbe preferito essere il regista di una coalizione moderata piuttosto che il primo attore.



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