Il testamento del maratoneta: by Manuel Sgarella

Il testamento del maratoneta: by Manuel Sgarella

autore:Manuel Sgarella [Sgarella, Manuel]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9781496158185
Google: Joe1oAEACAAJ
editore: CreateSpace Independent Publishing Platform
pubblicato: 2014-03-04T23:00:00+00:00


Capitolo 14

Strade migliori? Fu solo una speranza. Il quarto giorno partii da Verona di buon ora. Non pioveva, ma l’acqua fece presto sentire la propria presenza. Pioggia e distese di campi innevati non mi davano tregua.

I centri abitati divennero sempre più radi, lasciando il posto solo a case isolate. Nemmeno i carri dei contadini si muovevano con le strade in quelle condizioni. Pensai persino che la solitudine fosse la punizione per la mia arroganza. Mi ripromisi che, se avessi incontrato qualcuno, sarei stato più gentile. Anche se sarebbe stato difficile.

Nonostante il maltempo, il freddo e la fatica, cercai di proseguire con il mio itinerario e i miei tempi. Nei due giorni seguenti feci tappa prima a Vicenza, poi a Cittadella, dove scrissi alla redazione.

– La bianchezza dei campi circostanti fa male perfino agli occhi. – Infatti, nonostante la pioggia, il riflesso della luce diurna mi costringeva la sera a curare, oltre alle gambe, anche gli occhi, sempre molto stanchi. Nelle locande che mi ospitavano usavo il metodo di mia madre: chiedevo della camomilla e un panno asciutto per farmi degli impacchi, leggeri e costanti. Più volte mi addormentai in quelle condizioni.

Il settimo giorno arrivai a Portogruaro tanto inzuppato da essere costretto a comprare dei vestiti nuovi. Ormai mi ero rassegnato alla pioggia, ma l’unico obiettivo era andare avanti. Il diluvio, in confronto alla possibilità di rinunciare all’impresa, mi faceva meno paura.

In quei primi giorni era come essere padroni del mondo. Davanti a me il niente: nessuna carrozza, nessun rumore di locomotiva, nessuna grande città. Solo la campagna, la pianura. La neve che si scioglieva. E io che correvo, camminavo, scattavo.

A cosa pensa una persona quando corre? Passato, presente, futuro, amici, amori, glorie, sconfitte. E soprattutto errori. Se ne possono aver fatti tanti nella vita. Non ci si può fare nulla. Ma quale miglior modo c’è di espiare le proprie colpe se non con il dolore? Sarò anche stato l’operaio di una fabbrica di cioccolato, ma eravamo alle porte del ventesimo secolo. Mentre i fratelli Lumière in Francia, non solo stavano realizzando i primi piccoli film, ma stavano inventando senza saperlo l’arte del Cinema, io non potevo certo starmene con le mani in mano. Il mio futuro era scritto in quella neve che ghiacciava di notte e si scioglieva di giorno. La mia storia era destinata a essere bellissima, ma anche a scomparire, e sciogliersi per sempre dopo quella bellezza di cristallo.

Il punto di svolta fu quando arrivai al confine, a Trieste. Era l’ottavo giorno di viaggio, poco più di una settimana di cammino e di pioggia incessante. Fui costretto a fermarmi per un giorno per far regolare il passaporto dal console.

Su “La bicicletta” di quei giorni scrissero: – Come si vede la marcia dell’Airoldi procede splendidamente, malgrado il tempo disgraziato. – Disgraziato era dir poco, non so come decisero di mettere nella stessa frase le parole “splendidamente” e “disgraziato”. Facevo fatica a pensare quale delle due fosse a me riferita.

La mia parte italiana di viaggio stava per terminare. Mancava solo di regolarizzare i documenti.



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