La traslazione. Verosimile storia del mostro di Firenze (1990) by Eriberto Storti

La traslazione. Verosimile storia del mostro di Firenze (1990) by Eriberto Storti

autore:Eriberto Storti [Storti, Eriberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Mostro di Firenze
editore: Lalli Editore
pubblicato: 2018-06-26T16:00:00+00:00


CAPITOLO UNDICESIMO

Quella sera il professore non rientra come al solito a casa, ma si dirige verso la clinica. Il personale che è di servizio notturno lo vede entrare con manifesta e curiosa inquietudine: è la prima volta che il professore torna in clinica di notte senza esservi stato chiamato per casi urgenti.

Forse c’è qualche caso urgente, o almeno da lui ritenuto tale. Ma no, nulla di grave lo ha costretto a venire. Invece di dirigersi verso le stanze delle pazienti o entrare in corsia, il professore con un sorriso stirato sul volto e senza una parola né un cenno di saluto si avvia verso lo studio.

Gli infermieri, le suore e i medici di turno si guardano stupiti l’un l’altro e qualcuno azzarda una domanda: «Che cosa sarà tornato a fare?», ma siccome nessuno è in grado di rispondere, gli altri alzano le spalle e senza fare commenti tornano alle loro abituali mansioni.

Il professore, intanto, si è chiuso alle spalle l’uscio dello studio e si lascia cadere sulla poltrona dietro la scrivania.

Si sente attraversare da un fremito, da un tremore che non gli è naturale, che viene dal fondo del suo essere e del quale non sa darsi alcuna spiegazione.

È in un chiaro stato di agitazione e se ne rende conto, ma non sa spiegarsi da che cosa derivi quel divincolamento nervoso: è come se volesse liberarsi da qualche cosa di ignobile, di ferino, di demoniaco, vomitare quel blocco di buio, che come una massa di pece nerissimamente gli preme sul petto, schiacciandogli i polmoni in una morsa che quasi lo soffoca e vorrebbe gridare qualcosa, ma non può, glielo impediscono l’aridità della bocca, la secchezza dura delle labbra, le quali conservano quello strano sorriso, che i suoi collaboratori hanno notato, ma non hanno interpretato. È difficile, d’altronde, interpretare quello che cammina dentro di noi, la bestia che si curva seguendo il segno delle nostre ossa e delle nostre vene, quello che neppure noi sappiamo di essere veramente, il nostro mistero di abitanti della vita. Come si fa a capire che nel sorriso si può celare una disperazione o un bisogno di aiuto che crepita nella mente, ma non produce domande precise?

E quelle labbra secche, quell’aridità della bocca e della gola, quel sorriso stirato che dolorosamente il professore sente fissato sul suo volto, come una maschera notturna, non appartengono al reale, benché siano in quel momento il vero riflesso della sua realtà. Nessuna domanda. Nessuna risposta. Soltanto quell’inquietudine che gli si dilata dentro e lo costringe a scavare, a scavare nella mente, nella memoria, in un istinto di autodistruzione, ch’egli però respinge, con la ragione, perché e proprio la ragione che impedisce di capire, di sapere, di sollevare il coperchio del vaso nel quale un maledetto, imperscrutabile destino ha ficcato le vipere del suo passato.

Così egli, chinato il capo tra le braccia sulla scrivania, piange. Piange come può piangere un uomo che, smarrito, trascina se stesso in un gorgo di miserie dell’animo. Eppure egli è da molti invidiato per avere raggiunto



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