Le crociate viste dagli arabi by Amin Maalouf

Le crociate viste dagli arabi by Amin Maalouf

autore:Amin Maalouf [Maalouf, Amin]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2020-01-21T23:00:00+00:00


Benché situata in una valle, Edessa era difficile da conquistare, poiché la sua possente cinta triangolare era solidamente addossata alle colline circostanti. Ma, spiega Abū l-Farag, Jocelin non aveva lasciato nessuna guarnigione. C’erano soltanto ciabattini, tessitori, mercanti di seta, sarti e preti. La difesa sarebbe dunque stata assicurata dal vescovo franco della città, assistito da un prelato armeno nonché dallo stesso cronista, favorevole tuttavia a un accordo con l’atābek.

Zenkī, narra, rivolgeva costantemente agli assediati dei propositi di pace, dicendo loro: “O sventurati! Vedete che ogni speranza è vana. Che volete? Cosa aspettate? Abbiate pietà di voi stessi, dei vostri figli, delle vostre mogli, delle vostre case! Fate in modo che la vostra città non venga devastata e privata degli abitanti!” Ma nella città mancava la presenza di un capo in grado di imporre la propria volontà. Per cui si rispondeva scioccamente a Zenkī con rodomontate e ingiurie.

Vedendo che gli zappatori iniziavano a scavare gallerie sotto le mura, Abū l-Farag suggerì di scrivere una lettera a Zenkī per proporgli una tregua; proposta che venne accettata dal vescovo franco. “Si scrisse la lettera e la si lesse al popolo, ma un uomo insensato, un mercante di sete, tese la mano, afferrò la lettera e la strappò.” Eppure Zenkī non cessava di ripetere: “Se volete una tregua di qualche giorno ve l’accorderemo, per vedere se otterrete un aiuto. Oppure arrendetevi e vivrete!”

Ma non giunse nessun soccorso. Benché avvertito assai presto dell’offensiva contro la sua capitale, Jocelin non osava misurarsi con le forze dell’atābek, preferendo insediarsi a Tell Bāshir in attesa che le truppe di Antiochia o di Gerusalemme venissero in suo aiuto.

I turchi avevano ora scalzato le fondamenta del muro di settentrione, che avevano puntellato di legname, tronchi e travi in quantità. Riempirono poi gli interstizi di nafta, grasso e zolfo per meglio appiccare il fuoco e far crollare il muro. Allora, su ordine di Zenkī, si diede fuoco. Gli araldi del suo accampamento gridarono di prepararsi al combattimento, esortando i soldati a introdursi attraverso la breccia che si sarebbe creata appena il muro fosse crollato e promettendo loro di abbandonare la città al saccheggio per tre giorni. Il fuoco, alimentato dalla nafta e dallo zolfo, arse il legno e il grasso fuso. Il vento soffiava da nord e portava il fumo verso i difensori. Malgrado la sua solidità, il muro vacillò e crollò. Dopo aver perso molti dei loro uomini sulla breccia, i turchi penetrarono nella città e si misero a massacrare la gente senza fare alcuna distinzione. Quel giorno, circa seimila abitanti morirono. Le donne, i bambini e i giovani corsero in alto verso la rocca per sfuggire al massacro. Ma trovarono la porta chiusa per ordine del vescovo franco, il quale aveva detto alle guardie: “Se non vedete me, non aprite la porta!” Così gruppi di persone salivano gli uni dopo gli altri verso la rocca e si calpestavano a vicenda. Fu uno spettacolo penoso e orribile: spinti, soffocati, trasformati in un unico ammasso di corpi, circa cinquemila persone, e forse più, perirono atrocemente.



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