L'elmetto inglese by Ugo Baduel

L'elmetto inglese by Ugo Baduel

autore:Ugo Baduel [Baduel, Ugo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio
pubblicato: 2013-07-17T16:00:00+00:00


Capitolo quindicesimo

Paura di chi?

La Guerra Vera ormai dilagava. Perugia era una tappa di retrovia molto vicina al fronte di Montecassino. Di conseguenza era sempre piena di soldati tedeschi, di ufficiali di passaggio, anche di grado elevato. Titti Corbaccio aveva molto da fare come interprete e con nonna Maria, quando c’ero anche io, era piena di racconti e pettegolezzi sul colonnello Mellman.

Questo ufficiale era dunque a capo della piazza di Perugia ed era tutto l’opposto del bel tenente Gerhard: piccoletto, completamente pelato, rosso di pelle, gli occhialini d’oro a pince-nez, la divisa tutta stretta con la giacchetta che si rialzava sul sedere come una piccola coda. Papà non lo amava. Lui scherzava galantemente con tutte le donne, mammà compresa, e siccome era sempre un po’ sul bicchiere, una volta perse l’equilibrio in salone e quasi l’abbracciò. Ceravamo tutti e il fatto era assolutamente innocente, ma ricordo lo scatto leonino di papà e il furore nei suoi occhi. Per noi tutti Mellman era un po’ lo zimbello e anche mammà scherzava sempre su di lui con zia Elisabetta.

A casa nostra venne non più di due o tre volte, ma nei salotti delle case «bene» perugine (compresi i Buccellati) era accolto spesso, la sera, con feste e sbronze di cui poi si favoleggiava. Le sue manie di donnaiolo trovavano puntuali conforti fra molte signore perugine e anche di questo sentivo mormorare, ma con sorrisi indulgenti.

Il fronte non era solo a Montecassino, era ormai anche alle porte di Anzio. E in casa nostra questo significava sempre più concreta, crescente paura, quasi panico, nei confronti degli invasori. Credevamo ciecamente alla propaganda fascista e dunque ci figuravamo l’esercito degli alleati come una banda feroce di barbari, accozzaglia di razze, soldataglia ubriaca e affamata di saccheggi e di donne, ufficiali spietati nei confronti degli italiani e dei fascisti.

È curioso, a distanza di tanti anni, constatare che mentre tutta la città segretamente aspettava gli anglo-americani e faceva il tifo per loro, per nulla temendoli, noi vivessimo in una sorta di obnubilazione propagandistica che sarebbe stata spiegabile per veri fascisti impegnati nella guerra, per collaborazionisti convinti e fanatici. Ma noi, il clan Gavotti, al di là delle parole, non eravamo nulla di tutto questo. Papà era l’unico a capire i termini reali del dramma sul tappeto e se da un lato temeva anche lui l’arrivo degli invasori, nondimeno era molto scettico sul carattere festoso e pacifico della presenza tedesca.

Il «fanatismo» di noi Baduel si manifestava in realtà in una sorta di solerzia, di zelo più realista del re, nel rispettare tutte le disposizioni ufficiali, nel credere a tutto ciò che l’ufficialità propinava. Così mammà che di slancio, in quella stessa logica, nel ’35 aveva dato la fede alla patria, diede più tardi tutta la lana del materasso e dei cuscini di casa (questo non riguardava noi bambini che per buona regola spartana avevamo sempre avuto i materassi di duro crine, «più igienico e fa bene alla schiena»). Sempre in base all’assoluto principio del rispetto zelante della legge, apparve naturale,



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