L'Ultima Preda by Wilbur Smith

L'Ultima Preda by Wilbur Smith

autore:Wilbur Smith
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-05-12T16:00:00+00:00


BASE MILITARE Dl GRAND REEF – 15 KM.

Sean sentì contrarsi i muscoli dello stomaco, come gli capitava sempre prima del combattimento. Aveva anche il fiato un po’ corto. cercò di controllare il ritmo del respiro.

«Eccola là» disse Job in cima a una breve salita.

Il campo d’aviazione era tutto illuminato. I fari di posizione erano arancioni, e più oltre brillavano le lucine verdi e azzurre della pista.

Alla luce dei riflettori che illuminavano a giorno l’aeroporto militare, anche a una distanza di più di tre chilometri l’Hercules sembrava gigantesco. Il piano di coda verticale superava in altezza l’hangar numero tre.

Sean vide subito che era una versione più grande dell’Hercules da trasporto in dotazione all’aviazione britannica.

«Fermati» ordinò Sean, e Job mise la freccia e accostò al ciglio della strada. Poi spense le luci e gli altri due camion lo imitarono.

Nel silenzio Sean disse piano: «L’Hercules che caricherà la merce è già arrivato. Entriamo subito».

«Certo» concordò Job.

Sean saltò giù dal camion e corse verso il secondo automezzo, mentre anche Alfonso scendeva. «Sergente, tu sai già cosa devi fare. Ti do quarantacinque minuti per prendere posizione. Poi voglio esattamente dieci minuti di fuoco diversivo. Sparate tutte le munizioni che avete.»

«Il piano originale prevedeva venti minuti di fuoco.»

«Le cose sono cambiate» gli spiegò Sean. «Quindi dieci minuti di attacco e poi filate alla svelta, capito?»

«Sì.»

«Andate!» Alfonso saltò sul camion e dal finestrino salutò Sean con un’allegra risata, poi l’Unimog ripartì verso la base illuminata a giorno. Sean segnò l’orario d’inizio dell’attacco di Alfonso sulla corona esterna dell’orologio e tornò sull’automezzo accanto a Job. Seduto in cabina si mise a scrutare col binocolo il grosso apparecchio in sosta vicino all’hangar, sotto le luci. Aveva la rampa di carico abbassata come un ponte levatoio, così che Sean riusciva a vedere anche dentro la fusoliera, vasta come una caverna. Mentre osservava, vide uscire dall’hangar numero tre un carrello elevatore carico di casse di legno lunghe e strette. Recavano scritte e numeri in nero, che Sean non riuscì a decifrare. Tuttavia non c’era da sbagliarsi: lì dentro c’erano i missili.

«Stanno caricando gli Stinger» disse Sean, e Job si raddrizzò sul sedile.

Il carrello fu guidato sulla rampa e scomparve nel vano di carico dell’apparecchio Pochi minuti dopo venne riportato, vuoto, nell’hangar. Sean guardò l’orologio. Erano passati solo cinque minuti dalla partenza di Alfonso.

«Dài, forza» brontolò Sean, scuotendo l’orologio come per accelerare il tempo.

Assistettero ad altri due viaggi del muletto carico, poi il manovratore in tuta arancione parcheggiò il mezzo, scese e andò a chiacchierare con due stivatori fermi ai piedi della rampa.

«Hanno completato il carico» sussurrò Sean controllando ancora l’orologio. «Accendi il motore.» Job mise immediatamente in moto.

«Dovremo cercare di spegnere i riflettori che illuminano a giorno la pista» brontolò Job mentre rallentava per svoltare nella breve strada d’accesso ai cancelli della base. «Non è possibile caricare i camion sotto i loro occhi.»

Job fermò il camion sotto le luci davanti al cancello d’ingresso, mentre due sentinelle si avvicinavano a entrambi i finestrini del camion Portavano i Kalashnikov in spalla ed esaminarono attentamente sia Job sia Sean.



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