L'ultimo veliero by Marcello Venturi

L'ultimo veliero by Marcello Venturi

autore:Marcello Venturi [Venturi, Marcello]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2013-07-18T00:00:00+00:00


X.

Le giornate si accorciavano, il sole calava presto dietro il picco scuro del promontorio. La città si andava svuotando e ora, sulla passeggiata, c’era qualche tavolo vuoto nei caffè. Appoggiati alle lucide macchine dei juke-box ricominciavano ad apparire i ragazzi del posto, con gli zoccoli e le canottiere, senza camicia; e ai biliardi si riaffacciavano alla spicciolata i giocatori dell’autunno e dell’inverno. In spiaggia una sforbiciata calava ogni giorno sulla foresta degli ombrelloni, a diradarli; mentre il bianco dei patini lungo la costa tendeva a sbiadire. Già qualche pescatore di arselle aveva ripreso il cammino all’indietro sulla battima, attaccato al bastone del rastrello.

Più passavano i giorni, più il Capitano si sentiva ringiovanire. L’aria di mare aveva riacquistato il suo sapore aspro e dolce, di salino, perché le grosse automobili fuggivano, cariche di valige e di volti, sulle strade della montagna. Fuggivano verso le città dell’interno, nelle pianure.

— Si respira, — diceva il Capitano. — Quella benzina era micidiale.

Ora i vecchietti andavano alla questua di buona voglia, ma senza le cassette. Le rimpiattavano nella cabina di comando dell’Assunta e l’elemosina la chiedevano col palmo della mano. Poi, prima di rientrare all’Ospizio, facevano le parti: metà per la Madre Superiora, metà per il cavalier Pinotti. L’idea era stata del Capitano, che ci aveva pensato su tutta una notte.

— Non è una ruberia, — aveva spiegato al mattino. — In fondo, è roba nostra. Siamo noi, non la Madre, che andiamo in giro per soldi.

Finita la questua, verso sera, si ritrovavano in darsena. Ci andava anche l’Andreini, che aveva leticato con la sua Giovannona. Per non lasciare la Taverna abbandonata ai clienti, aveva costretto la moglie a ritornare dietro il banco.

— Questa non la capisco, — aveva protestato la Giovannona, — che storia è?

Da quando l’Andreini non lavorava alle navi, infatti, non le aveva più permesso di riavvicinarsi alla cassetta dei soldi, benché la bottega fosse di lei.

— È una storia che a te non ti riguarda, — aveva risposto l’ex calafato. E vuotata la cassetta se n’era andato brontolando contro le donne, che andrebbero ammazzate tutte.

Arrivavano in cantiere quando gli operai smontavano dai loro turni. Questi uscivano in bicicletta, in tuta azzurra, i pentolini del mangiare vuoti, attaccati al manubrio; loro entravano alla spicciolata, a piedi, accompagnati dal suono delle monete che tintinnavano nelle tasche dei giubbetti.

— Ecco Cristoforo Colombo, — gridava qualche operaio ammiccando al Capitano.

Gli altri ridevano, scuotendo la testa; ma avevano fretta di andare a casa, e la darsena presto diventava deserta, con le macchine e gli attrezzi abbandonati qua e là pel piazzale.

Gli ex marinai salivano sul ponte del veliero, si sedevano in cerchio sulle tavole e svuotavano le tasche. I nichelini si ammucchiavano e Cannocchiale prendeva a contare, lentamente, pazientemente, aiutandosi con un pezzo di carta e una matita. Poi la somma veniva divisa e il Capitano scendeva nella cabina a prendere le cassette. Metà dei nichelini era introdotta nelle cassette; l’altra metà, chiusa in una piccola valigia di fibra, che era stata trovata nella cabina, forse dimenticata dal comandante Talarico.



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