Miti romani by AA.VV

Miti romani by AA.VV

autore:AA.VV. [AA.VV.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2016-09-29T04:00:00+00:00


La morte di Tarquinio Prisco

Tanaquilla non si era sbagliata. Sapeva da tempo che qualcosa di terribile sarebbe accaduto, lí nella reggia. Quando la nuova toga per Servio fu terminata, la regina seppe anche che era giunto il momento e allora si armò di tutta la forza che aveva per affrontare gli eventi.

Da molti anni in verità contro la reggia si agitavano minacciosi pensieri. I figli del re Anco Marcio, ormai adulti, non sopportavano di essere stati privati del trono.

– Toccava a uno di noi, e invece è diventato re uno straniero, figlio di uno bandito dalla sua terra.

Nutrivano già un profondo rancore nei confronti del loro tutore, ma si erano accesi di ira quando la figlia del re era andata sposa a Servio Tullio. Divenne chiaro, Tarquinio indicava in tal modo il suo successore.

– Prima lo straniero, adesso addirittura uno nato da una schiava sul quel trono che è stato di Romolo, dio figlio di un dio. È un disonore, un oltraggio. Dobbiamo impedirlo, – lamentavano i figli di Anco. E per impedirlo ai figli di un re pio e giusto pareva opportuno anche il ricorso alla violenza e alle armi: i due giovani mostravano di essere figli degeneres, «degeneri».

Dègener era, come indica la stessa parola, l’individuo che si scostava dal genus, la stirpe, dalla quale era nato. Era quell’uomo che non compiva il suo dovere nei confronti del padre e degli antenati, i maiores: conservare o accrescere quanto gli giungeva in eredità. Ogni uomo riceveva infatti attraverso il sangue dei genitori, oltre ai tratti del volto, al portamento, al rango sociale, anche le virtutes, le qualità morali, il modo di comportarsi all’interno della città. Essere degno del proprio genus significava onorare quanto si era ricevuto dai padri e trasmetterlo poi ai propri figli, nella sua integrità. Un buon figlio, meglio, un buon Romano, doveva seguire in tutto l’esempio degli antenati, trasmesso di padre in figlio. I figli di Anco Marcio, adesso, sembravano dimenticare la pietas e la moderazione non solo del padre ma anche del bisnonno Numa. Furono i primi degeneres delle famiglie regali romane, ma non gli ultimi, come vedremo. Da persone cosí, si pensava, non c’era da attendersi nulla di buono.

Una mattina le guardie del re udirono un grande schiamazzo venire dal vestibolo della reggia. Erano due pastori, dall’aria truce, dai modi aggressivi, reggevano in mano delle asce di ferro. Urlavano l’uno all’indirizzo dell’altro, si accusavano di qualche cosa, si lanciavano insulti. Le guardie in tanto frastuono non capivano nulla. Poi i due cominciarono a chiedere, sempre a gran voce, l’intervento del re, lui sí avrebbe fatto giustizia.

E tante grida alla fine giunsero proprio all’orecchio del re. Informato dell’incidente Tarquinio volle i pastori davanti a sé. Ma i due anche lí continuavano a urlare. Ci volle il littore per farli tacere, per far loro esporre con calma il problema. Allora uno di quei brutti ceffi cominciò a raccontare, ma in modo confuso, in un rozzo linguaggio, era una fatica ascoltarlo. Per capirci qualcosa il povero re se ne stava tutto intento a guardarlo.



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