Nome in codice: Ares by Andrea Adorno Gastone Breccia

Nome in codice: Ares by Andrea Adorno Gastone Breccia

autore:Andrea Adorno, Gastone Breccia [Adorno, Andrea & Breccia, Gastone]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Historical
ISBN: 9788852079337
Google: E1dFDgAAQBAJ
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


VIII

«Antica Babilonia»

Dopo Kabul, Bolzano sembrava il paese dei balocchi. Il primo pomeriggio in libera uscita avevamo quasi ritegno a entrare in un negozio, in una pasticceria, in un pub. Tutto troppo bello, troppo ricco. Stavamo imparando a conoscere il mondo.

Ci ritrovammo in un bel gruppo, la sera tardi, di fronte a un boccale di birra. Presto saremmo andati in licenza, ognuno a casa sua. Il tenente *** mi chiese cosa avrei fatto del mio mese di vacanza. Non ne avevo idea. Mi accorsi che quel vuoto mi spaventava. Certo, avrei passato qualche sera con mia madre, e poi con mia nonna, e poi con qualche vecchio amico. Ma dopo? «Prenditi il brevetto da sub. La stagione è ancora buona. E poi vatti a divertire un po’, ma lontano. So quello che dico: se non hai ancora famiglia, approfittane…»

Fine settembre 2002. La long war on terror, la «lunga guerra contro il terrore», secondo l’infelice definizione del presidente statunitense George W. Bush Jr, entrava nel suo secondo anno senza che nessuno se ne desse troppo pensiero. L’Occidente stava vincendo, che altro c’era da dire? Bastava avere pazienza. Nemmeno io, per la verità, me ne preoccupavo troppo. A Catania l’estate sembrava eterna, le terrazze sul mare erano ancora affollate. Seguii il consiglio del tenente e mi iscrissi subito a un corso di immersione. In acqua mi muovevo bene; usare le bombole non mi creava alcuna difficoltà. In dieci giorni presi il brevetto. E poi un aereo per le Maldive, da solo. Due settimane di pura meraviglia a esplorare la barriera corallina. Verso sera, prima di andare a cambiarmi per la cena, mi fermavo in spiaggia a bere un aperitivo e guardare il tramonto. Quattro anni prima ero un ragazzino senza un titolo di studio, senza un lavoro fisso, senza un’idea di come conquistare il mio posto nel mondo. Solo mio padre sembrava avere fiducia in me: io preferivo non pensare al futuro e andavo avanti quasi alla cieca, un giorno dopo l’altro. Adesso, invece, potevo sorseggiare un daiquiri alle Maldive, immergermi in quel mare stupendo, scherzare a cena con qualche ospite italiano del resort. Pensai ai compagni che avrei ritrovato di lì a poco. Al nostro reparto e al nostro lavoro. Quella era la cosa più importante: stavo bene, ma avevo voglia di tornare al «Monte Cervino».

«Ecco lo sciacallo che ci mancava! Hai tenuto fede al nostro nome? Cos’hai riportato dall’oceano Indiano?» Gli amici mi aspettavano al varco. Nella saletta comune, durante la mia assenza, era stato appeso il nuovo simbolo del 1º plotone, scelto qualche tempo prima in memoria di una poco nobile abitudine del vecchio «Monte Cervino»: procurarsi materiale e viveri facendo razzia nei depositi di reparti più fortunati. Si diceva che in Russia i Satanas bieli fossero stati anche un po’ «sciacalli», per sopravvivere: e allora noi avremmo mantenuto viva la tradizione.

L’autunno passò in fretta. Addestramento normale e normale vita di battaglione; troppo facile, da un certo punto di vista. C’era tutto il tempo per preparare qualcosa di nuovo. Cominciai a pensare all’ammissione al corso incursori del «Col Moschin».



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