Teoria del partigiano by Carl Schmitt

Teoria del partigiano by Carl Schmitt

autore:Carl Schmitt
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2014-06-30T04:00:00+00:00


La disgregazione delle strutture sociali

Un vistoso esempio di disgregazione delle strutture sociali lo hanno sperimentato i francesi in Indocina dal 1946 al 1956, quando crollò il loro dominio coloniale in quei luoghi. Abbiamo già ricordato l’organizzazione della lotta partigiana da parte di Ho Chi Minh nel Vietnam e nel Laos. Qui i comunisti misero al proprio servizio anche la popolazione civile non politicizzata. Davano direttive perfino ai domestici degli ufficiali e dei funzionari francesi e ai manovali dei reparti di sussistenza dell’esercito occupante. Riscuotevano tasse dalla popolazione e compivano azioni terroristiche di ogni tipo per indurre i francesi a replicare con rappresaglie antiterroristiche sui civili indigeni, in modo che l’odio di questi ultimi crescesse ulteriormente. In breve, la forma moderna della guerra rivoluzionaria conduce a molti nuovi metodi e mezzi subconvenzionali, la cui dettagliata descrizione esulerebbe dai limiti del nostro lavoro. Una collettività esiste come res publica, come cosa pubblica, ed è messa in discussione quando in essa si forma uno spazio estraneo alla cosa pubblica, che contraddice efficacemente quest’ultima. Forse basterà questo accenno per far capire come il partigiano, rimosso dalla coscienza della scienza militare del secolo XIX, si collocasse improvvisamente al centro di un nuovo tipo di strategia, il cui senso e scopo era la distruzione dell’ordine sociale esistente. Questo diventa tangibile nel cambiamento di prassi per quanto riguarda gli ostaggi. Nel conflitto franco-tedesco del 1870-1871 le truppe tedesche, allo scopo di proteggersi dai franc-tireurs, prendevano come ostaggi i notabili di un luogo: sindaci, parroci, medici e notai. Il rispetto generale verso simili personaggi poteva essere sfruttato per mettere sotto pressione l’intera popolazione, giacché il prestigio sociale di quel tipico ceto borghese era praticamente fuori di dubbio. Proprio questa classe borghese diventa, nella guerra civile rivoluzionaria comunista, il vero nemico. Chi usa quei notabili come ostaggi lavora, date le circostanze, a beneficio della parte comunista. Per i comunisti simili catture di ostaggi possono essere così convenienti che, all'occorrenza, arrivano a provocarle, sia per estirpare un determinato ceto borghese, sia per spingerlo dalla parte comunista. In un libro sul partigiano che abbiamo già citato, questa nuova realtà è inquadrata bene. Nella guerra partigiana, vi si legge, la cattura di ostaggi è efficace solo se prende di mira gli stessi partigiani o i loro più prossimi compagni di lotta. Altrimenti non si fa che creare nuovi partigiani. Viceversa, per il partigiano ogni soldato dell’esercito regolare e chiunque indossi una uniforme è un potenziale ostaggio. «Ogni uniforme » dice Rolf Schroers « deve sentirsi minacciata, e per ciò stesso anche tutto quello che essa rappresenta».51 Basta riflettere a fondo su questa logica terroristica e controterroristica e applicarla poi a ogni tipo di guerra civile per vedere con chiarezza la disgregazione delle strutture sociali oggi in atto. Bastano pochi terroristi per mettere sotto pressione grandi masse. Allo spazio dell’aperto terrore si aggiungono quelli ulteriori dell’insicurezza, della paura e della diffidenza generale, un «panorama di tradimenti» che Margret Boveri ha descritto in una serie di quattro libri assai stimolanti.52 Tutti i popoli del



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