The Failing hours by Sara Ney

The Failing hours by Sara Ney

autore:Sara Ney [The Failing hours]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Hope Edizioni
pubblicato: 2019-05-28T00:00:00+00:00


Zeke

«Sembra un bombo». Le sue parole sono accompagnate in una risata felice.

Abbasso lo sguardo sulla tazza di ceramica su cui ho piazzato una grossa I (come Iowa), assieme a delle strisce gialle e nere dipinte alla meglio.

Ha ragione. Sta iniziando a somigliare a un cazzo di bombo gigante, e neanche dipinto bene.

«Taci, Violet!».

«Scusa! Però è davvero carino! Non vedo l’ora di vederla quando sarà tutta cotta e brillante».

«Che cazzo significa quando sarà cotta?».

«Viene messa in forno per cuocere la vernice sulla ceramica. Diventerà lucida e brillante una volta finita». Continua a dare tocchi di violetto alla sua tazza, delicatamente ornata di fiori e pois. È adorabile, molto più bella della mia merda di tazza dell’Iowa.

«Vuoi dire che devo aspettare per vedere come verrà?».

Lei alza lo sguardo, sorpresa, il pennello sospeso a mezz’aria.

«È per quello che sei così agitato? Sei ansioso di vederla e non vuoi aspettare?».

«Be’, sì! Voglio vederla!». Oh.

«Zeke Daniels, non ci posso credere! Sei emozionato per la tua tazza?».

«Cazzo, sì!».

Ridiamo entrambi ed è bello, decisamente più bello che essere incazzati, cosa che richiede molto più impegno.

«Ehi». Do un colpetto alla sua mano con la punta del pennello, lasciandole un piccolo grumo di giallo sul polso. «Mi sono appena reso conto di una cosa».

Quei grandi occhi nocciola mi fissano, le lunghe ciglia nere battono, gli angelici capelli biondi brillano. Dio, è bellissima. Le labbra lucide si aprono e mi fanno agitare sulla sedia.

Gesù. No.

Scuoto la testa. La scuoto di nuovo.

Mi schiarisco la gola. «Ti sei accorta che non stai balbettando da quando siamo qui?».

«Davvero?».

«Sì, davvero». Stendo della vernice nera sulla mia tazza. «Come pensi che sia possibile?».

Violet apre la bocca, poi la chiude, come un bel pesciolino che annaspa in cerca d’aria. «Non lo so? I… io…». Arriccia il nasino. «Uffa!».

«Cazzo», mugolo. «Mi dispiace davvero di averne parlato».

«N… no, va bene. Quanto siamo stati qui, un’ora e mezza? È parecchio tempo per me». Sembra orgogliosa. Raggiante.

«Deve essere perché sei a tuo agio con me, eh?». Le faccio l’occhiolino. Le faccio davvero un cazzo di occhiolino, prendendola in giro. «Non ti rendo più nervosa».

«In effetti sì, p… probabilmente significa che non mi rendi più nervosa». Le sue labbra rosa sono ancora lucide e curvate in un timido sorriso.

«Dici sul serio?».

«Sì, certo».

«Ma nessuno si sente a suo agio con me».

«Io sì».

«Perché?». La fisso come se fosse matta da legare. Deve esserlo.

«Non fraintendermi, ma… penso sia soprattutto per la tua stazza».

«Uh, come dovrei fare a fraintenderlo?».

«I… immagino che tu preferisca apparire intimidatorio. Io ero intimidita all’inizio, ma ora la trovo confortante».

«Uh, è meglio che le prossime parole che usciranno dalla tua bocca non siano come un gigantesco orsacchiotto».

«Non erano le mie prossime parole. Non ho detto coccolone, ho detto confortante».

Mi sporgo in avanti sulla sedia. Scricchiola. «Non pensi che sia coccolone?».

Lei increspa la fronte. «Ti sei mai accoccolato sotto una coperta comoda?».

Sbuffo dal naso. «Certo che no».

«Hai mai fatto le coccole a un animaletto peloso?».

Sbuffo dal naso e alzo gli occhi al cielo. «No».

«Hai mai fatto le coccole a qualcuno mentre guardavate un film, o quando era nervoso?».



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