Tre trifole per Rebaudengo by Cristina Rava

Tre trifole per Rebaudengo by Cristina Rava

autore:Cristina Rava [Rava, Cristina]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Fiction, Crime, Thrillers, General, True Crime, Murder
ISBN: 9788875637347
Google: M41oAwAAQBAJ
editore: Fratelli Frilli Editori
pubblicato: 2012-06-03T16:59:38+00:00


IX

In un certo senso sono stato la sua unica ragione di vita, si può dire che sia vissuta per me… anche per me… magari è più giusto dire così. Credo anche, però, che abbia sperato fino all’ultimo di essere accolta dall’unico uomo amato. Che poi, amato? Lo avrà amato o si sarà intestardita soltanto perché lui la rifiutava? Va a sapere.

Una cosa gliela devo però a mia madre. Tante, forse tutte nella sua situazione avrebbero spinto il proprio figliolo illegittimo nella direzione di un lavoro sicuro, magari modesto ma che potesse assicurargli una vita senza disagi. Lei no, lei quando ha capito che io sopra ogni altra cosa desideravo dipingere, mi ha permesso di iscrivermi al liceo artistico e mangiando cipolle mi ha consentito di diplomarmi all’accademia di belle arti. Subito dopo è morta.

Era marzo e lei aveva il cancro ma io l’ho capito tardi, io capisco spesso le cose troppo tardi. Esiste il cancro banale? Be’, quello sarebbe stato un cancro banale, un affarino in un seno che se una donna lo scopre in fretta, lo toglie, senza devastare niente, riesce poi a campare magari altri quarant’anni. Invece quando mia madre non ha più potuto fare finta con me e con se stessa, aveva già metastasi ossee e polmonari.

Era una notte di marzo, fuori pioveva, anche la goccia della flebo che scendeva nel tubicino sembrava che piovesse. Poi andava a perdersi nel suo intrico di vene verdi sotto la pelle grigia. Aveva l’ossigeno nel naso e gli occhi chiusi. Era una settimana che doveva morire da un momento all’altro e io non mi ero mai allontanato, ma lei non moriva mai, la guardavo, con il profilo affilato, le labbra che sembravano di carta, era stanca, ero stanco. Così ho preso il cuscino e l’ho fatta dormire…

Poi c’è stato il funerale: tu non c’eri ancora, ma se ci fossi stato ti avrebbe fatto ridere quel funerale, tant’era grottesco. Il carro funebre, il prete, perché poi aveva chiesto il rito cattolico – in Liguria non trovi un protestante manco a cercarlo con il lanternino, avrei dovuto andare a Genova, – e io: punto, basta, non c’era un cazzo di nessun altro, capisci? Quel pomeriggio mi ha dato la vera percezione della mia solitudine, che poi ero solo anche prima, anche quando lei era ancora viva, anche quando non era ancora malata, eravamo tutti e due soli al mondo.

Ho passato la notte sveglio, a fumare, finalmente libero di farlo senza la sua voce lagnosa che mi sgridava ogni volta che mi vedeva accendere una sigaretta e mi sono messo a cercare. Cosa? Chi ero, perché da qualche parte doveva esserci un foglio, un pezzo di carta, una testimonianza del fatto che anch’io avevo avuto un padre. E c’era! Dove? Alla maniera di mia madre: nell’ultima scatola, quella nascosta nell’angolo più inaccessibile ed impervio della soffitta. Aveva conservato il mio certificato di nascita dove era presente soltanto il suo nome, e fino a lì nessuna novità, poi però erano comparse delle lettere. Sulle



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