Un'indagine estrema del commissario Lupo Belacqua by Mario Spezi

Un'indagine estrema del commissario Lupo Belacqua by Mario Spezi

autore:Mario Spezi
La lingua: ita
Format: azw3, epub, mobi
Tags: trascritto
ISBN: 9788878992689
editore: Barbera
pubblicato: 2009-03-31T22:00:00+00:00


Vista da vicino, ingrandita chissà quanti milioni di volte, la nuova larva dell’Eritrocephala aveva due occhietti celesti e cattivi nascosti tra palpebre superiori e inferiori troppo grasse. La pelle era bianchissima e a Lupo Belacqua ricordava un lucido velo di domopak che a stento riusciva a contenere una quantità impressionante di sebo dandogli una forma che in qualche modo somigliava a una figura umana femminile.

In effetti Belacqua non aveva mai visto sotto il microscopio la larvaccia di Gonnelli, ma fu con quella il paragone che gli venne in mente osservando la marchesa Savia Videtti che la mattina del 17 si era seduta davanti a lui dall’altra parte della scrivania nel suo ufficio in questura, i dieci salsicciotti pieni di lardo e senza anelli, ché, se pure fosse riuscita a infilarli, non li avrebbe più sfilati, poggiati, cinque per parte, sui braccioli della sedia e lo sguardo muto fisso su lui.

In alternativa il paragone poteva essere fatto con Jabba the Hut, il vermone di Guerre stellari.

Comunque fosse, la marchesa indossava un paio di larghi pantaloni grigi e sopra un camicione a righe verticali bianche e blu per la cui costruzione doveva essere stata necessaria la stessa quantità di tessuto usata per fabbricare un paracadute. La postura non aveva niente di aristocratico, se si esclude l’arroganza: la marchesa Savia Videtti era stravaccata sulla sedia.

Dietro a lei era un ometto asciutto e abbronzato con un velo di baffi sotto il naso ricamato con sottili venuzze blu in stile cirrosi epatica. Lei lo chiamava Fortunato. Era l’autista, il cameriere, il giardiniere, sicuramente il cantiniere e una specie di famiglio tuttofare, l’uomo al quale si appoggiava per fare salire per le scale tutto il suo lardo. Fortunato non si era voluto sedere, era rimasto alle spalle della nobildonna, ma senza atteggiamenti servili. Era di campagna e lei dipendeva per molte cose da lui.

«Sarebbe dovuto venire mio marito» esordì la marchesa «ma l’ho fermato. ‘Ferdinando, gli ho detto, voi sareste capace di perdervi dentro la questura. Restate con i vostri soldatini, che ci pensiamo io e Fortunato’…».

«Ah» chiese sorpreso Belacqua, «lei dà del ‘voi’ a suo marito?».

«Certo» rispose gelida Savia Videtti. «Io do del ‘tu’ solo agli amici».

«Ah! Mi sembra giusto… E… i soldatini? Quali soldatini?».

«Di tutti gli eserciti. Mio marito è uno dei maggiori collezionisti di soldatini in Italia. Quattordicimila pezzi, tutti dipinti a mano. Tenerli in ordine lo occupa tutto il giorno. Comunque Ferdinando, commissario, è psicolabile, come tutti i Videtti maschi. Se ancora posseggono qualcosa, lo devono alle donne di casa e a quelle che hanno sposato. Io sono una Panciotti Refai, tutt’altra razza…».

«Capisco… Bè, marchesa, mi dica: che cosa è successo di grave?».

Lei lo guardò con quei due occhietti gelidi sprofondati nel grasso e sembrò che prima di parlare volesse valutare le capacità di quel poliziotto al quale stava per affidare una questione delicata che la riguardava da vicino. Dovette concludere promuovendolo oppure decidendo che non aveva altra scelta. Senza alcuna emozione disse: «Mio figlio Jacopo è scomparso. Da cinque giorni… questo è il sesto…».



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