I Figli Di Roma by Ben Kane

I Figli Di Roma by Ben Kane

autore:Ben Kane [Kane, Ben]
La lingua: ita
Format: epub
Google: BVLet7-OUjEC
Amazon: 8856631873
editore: Piemme
pubblicato: 2011-05-23T22:00:00+00:00


Romolo imprecò. Il generale pompeiano sapeva che la sua vita era troppo preziosa per rischiare di perderla battendosi con tre semplici legionari.

Mentre si preparava a lanciare il secondo proiettile, Paolo emise un gemito strozzato. Voltandosi, Romolo vide con orrore un giavellotto spuntargli dal fianco destro: la lama doveva essere penetrata tra le costole trapassando il polmone. Capì subito che era una ferita mortale. Un rivolo di bollicine insanguinate cominciò a scorrere dalle labbra del coraggioso soldato.

Prima di crollare, ebbe la forza di indicare Petreio.

Romolo si voltò di scatto. Protetto da due guardie, Petreio stava fuggendo. Doveva scagliare il giavellotto, altrimenti la loro missione sarebbe fallita e Paolo sarebbe morto invano. Non era facile colpire un bersaglio in movimento, con numerosi uomini che gli ostacolavano la visuale. Romolo fece un respiro profondo e lanciò il proiettile verso l'alto, sopra le teste degli ufficiali e delle guardie. Dopo aver percorso una traiettoria arcuata, la lancia si conficcò nella spalla sinistra di Petreio. L'impatto quasi lo disarcionò. Sostenuto da uno dei suoi uomini, il generale si allontanò al galoppo.

Il morale di Romolo precipitò. Aveva fallito. Petreio non sarebbe morto per quella ferita.

Una spada brandita da un ufficiale numida gli sibilò sopra la testa. "Feccia romana!"

Romolo si abbassò, evitando per un soffio di essere decapitato.

Indietreggiando di un passo, estrasse il gladius, parò il secondo attacco, e quello successivo, ma non era facile difendersi da un avversario a cavallo. Quando l'ufficiale numida affondò di nuovo, Romolo cambiò strategia: scattò sul fianco deH'animale e conficcò la spada nella coscia del cavaliere, che cadde lanciando un urlo strozzato.

Romolo si guardò intorno. Era circondato da volti truci.

Ma Sabino dov'era?

CAPITOLO XVII

RITORNO A CASA

Tarquinio si fermò al crocevia. Con il passare delle ore, il paesaggio dell'Italia settentrionale si era fatto sempre più familiare.

L'aruspice conosceva quel posto meglio di chiunque altro al mondo. Era stato lì che, ventiquattro anni prima, si era voltato per dare l'ultimo addio al latifundium che aveva chiamato casa.

Tornare nei luoghi della sua giovinezza gli faceva uno strano effetto.

Quante cose aveva visto e fatto da allora? Improvvisamente si sentì vecchio e stanco.

Un istante dopo avvertì un moto di felicità e si rianimò. Aveva trascorso momenti bellissimi in quei territori. I suoi genitori avevano lavorato la terra non lontano da lì. Sulle montagne avvolte dalle nuvole, Oleno gli aveva trasmesso i segreti dell'aruspicina.

Nei paraggi si trovavano anche le rovine di Falerii. Tarquinio era stato riportato in quei luoghi dal vivido ricordo dell'antica città etnisca e dal desiderio di visitare di nuovo il monte su cui era stata fondata, lo stesso che dominava il paesaggio per miglia e miglia.

Nella caverna sacra dove aveva completato la sua iniziazione, forse gli dèi gli avrebbero finalmente rivelato il suo destino. Fabiola sembrava essere al sicuro con Antonio e di certo

non temeva la sacerdotessa di Orco. Di Romolo non c'era alcun segno. Dato che continuava a sognare nuvole minacciose sul cielo di Roma, l'aruspice aveva deciso di agire d'impulso.

Da allora era trascorsa una settimana.

La strada era fiancheggiata su un lato dal lago Vadimone, e sull'altro dalle basse mura di un latifundium.



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