Nebbia e chiaro di luna by Meša Selimović

Nebbia e chiaro di luna by Meša Selimović

autore:Meša Selimović [Meša Selimović]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9791280219992
editore: © Bottega Errante Edizioni s.r.l. 2023
pubblicato: 2023-03-28T00:00:00+00:00


1 Nome derivante dalla parola sreća (“felicità”), assimilabile all’italiano Felice (N.d.T.).

5

Lo guardava senza proferire parola, a lungo.

Per il giovane quello sguardo calmo e pesante era tormentoso, non sapeva che cosa volesse da lui, e ciò lo agitava, ma si sforzava di nascondere il proprio disagio. Aveva sorriso, per dare un’idea di ordinarietà: «Perché mi guardi?».

«Ti guardo. Stiamo parlando».

«Che tipo di discorso è il tuo? Sei sempre zitto».

Il contadino non si era turbato, non lo infastidiva né la protesta né la domanda, non aveva fretta di rispondere, prendeva ogni decisione a fatica, come se dovesse ragionare su ogni parola e su ogni movimento prima che si separassero dal suo corpo e diventassero irrevocabili.

«Quanti anni hai?».

«Venti».

«Non ne hai venti».

«Li compirò in autunno. Perché ti danno fastidio i miei anni?».

«Ridi facilmente».

«È un problema?».

«È che dopo si ride di meno».

«Tu sicuramente non hai mai riso».

Sedeva su un baule rovesciato, ricurvo, con le pesanti braccia sulle ginocchia, fumando una fetida pipa. Il buio si stava lentamente infilando nella baracca e l’aria stava diventando più densa, si respirava a fatica. Era come se non volesse andarsene, aspettava che calasse la notte, e il giovane non osava chiedergli perché fosse seduto, perché lo stesse fissando, perché non fosse già andato via.

Si era dimenticato forse che il buio e la notte si stavano imponendo, e che lo aspettavano dei lavori che nessun altro avrebbe fatto. Sedeva ricurvo, sempre più pesante, sempre più ingombrante nella semiombra, sempre più sinistro. Come se stesse rovesciando dentro di sé molte domande non sapendo come esprimerle, oppure non osando proferirle. O cercava risposte nel buio che avanzava, negli occhi del giovane, nelle immagini che stava creando dentro di sé. Il giovane si stava arrabbiando, per colpa sua ma anche propria, avrebbe dovuto comportarsi diversamente, come con chiunque altro, avrebbe dovuto parlare liberamente di ogni cosa, non gli veniva mai difficile parlare, avrebbe dovuto scherzare, essere indifferente al suo silenzio, ma non poteva, si sentiva in qualche modo irrigidito, quasi incantato, come se davanti a lui ci fosse una bestia silenziosa in agguato, o una roccia pronta a rotolargli addosso, senza possibilità di fuga. Guardava invano, sempre più invano, un buio ancora più nero copriva i suoi occhi che non svelavano nulla, erano illuminati debolmente dal fuoco della pipa, luccicavano come due fiamme misteriose.

La conversazione gli sembrava un’ancora di salvezza, la posticipazione di qualcosa, il ricordo di una normalità, la difesa da una forza sconosciuta e minacciosa.

«Di solito esco a quest’ora, davanti alla baracca, a quest’ora fa fresco».

«Perché sei venuto nella palude?».

«Mi sembra tutto sia più ampio, più libero, la guerra mi ha disabituato alle camere. E anche per via del fiume, lo sento sempre».

«Può arrivare qualcuno all’improvviso. E potrebbe sentirti respirare nella baracca».

«Non ci sono nemici nelle vicinanze».

«Ma se qualcuno arriva per caso, scappando, nascondendosi?».

«Ho una rivoltella, e le bombe».

«Ti possono sorprendere nel sonno».

«Perché ti infastidisce che io stia qui?».

«Non mi infastidisce».

«Vuoi che ritorni in casa?».

«Stai dove ti piace di più, per me è indifferente».

Ma che vuoi, furbo d’un contadino, perché chiedi e poi rinunci, attacchi e poi ti ritiri? Parlami o lasciami in pace.



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