La foresta del Nord by Daniel Mason

La foresta del Nord by Daniel Mason

autore:Daniel Mason [Mason, Daniel]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


Sette

Quella che segue è, si potrebbe dire, la storia di due venti.

È passato un secolo da quando il puma ha sterminato le pecore degli Osgood, innescando cambiamenti che hanno trasformato la terra intorno alla casa. Il pascolo ha lasciato il posto ai rovi, i rovi alla betulla e al pino, mentre querce e faggi e castagni sono nati dai semi abbandonati dallo scoiattolo ucciso dal gufo una mattina d’inverno. Nel corso degli anni, piccole radure vengono strappate alla nuova foresta: un orto, un prato da cui dipingere le nuvole, un campo da croquet per ospiti che non sarebbero mai arrivati. Sul bordo del campo c’è un faggio, e il suo tronco – incrinato da una gelata, dai becchi dei picchi, dai bruchi che hanno scavato strane rune sulle sue foglie – viene assalito da un vento impetuoso e si spezza in due. Cadendo, colpisce il vicino castagno, abbastanza forte da strappargli un ramo, lasciando sul tronco una cicatrice che svela il midollo chiaro.

Questo è il primo vento.

Il secondo arriva quattro mesi dopo, in giugno. Un vento caldo e umido, che spazza gli Appalachi. Le sue raffiche portano con sé una congerie di piccole creature: uccelli, coleotteri, ragni legati alle loro matassine di seta, semi in forma di sbuffi e paracadute. Mentre soffia sulle colline, il vento dà e toglie, e in un bosco a nord del Susquehanna sorvola una foresta di centomila castagni. Per generazioni, le castagne hanno dato sostentamento a bambini mohawk e oneida, coloni tedeschi, milizie della Rivoluzione, contadini, per non parlare di cervi, cavalli, orsi, alci, maiali, uccelli, vermi, scoiattoli, istrici e lumache. Ma ora gli alberi sono morti, soffocati da onde filamentose di peronospora che li ha assaliti il decennio precedente. I viticci gialli si arricciano erompendo da vesciche piccole come capocchie di spillo nella corteccia, mentre microscopici corpi fruttiferi a forma di fiaschetta sparano le loro munizioni nel vento.

È di uno di questi proiettili che vogliamo occuparci.

Durante la sua breve esistenza, la spora non ha mai lasciato l’albero ospite. A forma di fuso dalla punta smussata, bisecata da un setto sottile come il solco di una pillola, ha sempre vissuto nelle profondità umide della sua camera, disposta con le sue sorelle in rosette ordinate. Sicché il rilascio, quando il vento dell’Ovest viene a spazzare via sciami di spore dalla foresta in declino, provoca una trasformazione simile all’estasi. Libera, la spora si solleva volteggiando sopra il bosco agonizzante, lascia la chioma del suo ospite, sfiora la cupola di foglie, i vortici di un pino ondeggiante, e viene risucchiata nel cielo. Vola in alto fra la schiera di nubi nerastre, e poi scende in picchiata, supera le cime dei Catskill, attraversa l’Hudson e risale le pendici dei Taconic. Il vento è veloce. La spora lo sente premere contro la sua membrana. Per un momento di grazia, le sembra quasi di dissolversi nell’aria o librarsi così in alto da non scendere mai più. Per un momento, il piacere – perché come altro possiamo chiamarlo? – è quasi insopportabile, finché, all’interno di una nuvola, la spora colpisce una goccia di pioggia che si sta formando.



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