Roquenval by Berberova Nina

Roquenval by Berberova Nina

autore:Berberova Nina
La lingua: ita
Format: mobi
pubblicato: 2013-03-07T23:00:00+00:00


IV

Una mattina d'agosto mi svegliai molto presto in preda a una strana agitazione, senza riuscire più a riaddormentarmi. Non vi era nulla di anormale; il sole entrava di sbieco nella stanza, lambendo Jean-Paul che dormiva con le braccia incrociate; l'orologio segnava le sette meno dieci, nella casa regnava l'abituale quiete notturna, ma io non potevo riprendere sonno. Mi alzai, mi vestii in silenzio e, cercando di non far rumore, uscii. (Io dividevo la stanza con Jean-Paul, e Madeleine con Juna, di certo non perché nel castello ci fossero poche camere, visto che solo nel nostro corridoio se ne potevano contare minimo sei: erano, però, tutte abbandonate, nessuno le puliva e d'altra parte non sarebbero comunque bastati le lampade a petrolio e i catini per lavarsi.)

Scesi e aprii la rabberciata porta di quercia che dava sul parco. Gli uccelli fischiavano fra i cespugli. Cominciava un giorno chiaro e luminoso. Mi incamminai lungo le vasche, disposte ad imitazione di Versailles, ricoperte da una spessa fanghiglia stagnante; passai accanto a dei grossi ceppi: gli alberi incombevano sulla casa, le cadevano addosso, la nascondevano e per questo l'anno precedente si era dovuto tagliarli. Più in là cominciavano i boschi di noccioli, coi lillà e le erbacce, fra i quali in quella estate avevamo praticato un vero e proprio sentiero in mezzo all'edera e al luppolo.

Camminai abbastanza a lungo. Il parco diventava sempre più folto, sempre più umido e tenebroso. C'era ancora molta strada da fare prima di raggiungerne l'estremità delimitata da un alto recinto di pietra, oltre il quale correva, in basso, una strada e si stendevano i campi. Proseguii un bel po', a volte aprendomi a fatica il cammino attraverso cespugli viscosi, a volte superando dei ruscelli; al mio passaggio qualcosa si muoveva scappando, faceva frusciare l'erba, s'involava dal folto degli alberi. Mi imbattei in un mucchio di vecchie pietre: sembrava che qualcuno avesse voluto costruire un ponticello, ma ci avesse ripensato; poi alla mia sinistra apparve una costruzione più solida: nel giro di pochissimo vidi una specie di chiosco, una cabina con una porta divelta dal tempo e una finestra abbattuta dalla mano di un uomo.

Il lastricato era lo stesso del castello, una ragnatela, nera e viscosa, penzolava dagli angoli, un fungo nero e tondo era cresciuto sulla porta, un pipistrello, sospeso per un'ala, si dondolava dal soffitto che presentava un'ampia apertura. Guardai la porta che si reggeva su un unico cardine e la spinsi. Sul lato di uno stipite era stato inciso in caratteri cirillici con una punta acuminata: "Robert. Ol'ga. 1897".

"Robert. Ol'ga", dissi ad alta voce: potei udire l'erba frusciare e un gemito tra i rami di un grande olmo. In questo castello francese mi ero di nuovo imbattuto in una testimonianza russa, nell'impronta che aveva lasciato - così come in Kira - la nonna Praskov'ja Dmitrievna. "Ol'ga. Robert", ripetei. D'improvviso il silenzio del giardino fu rotto da un suono: in basso un'automobile procedeva tranquillamente lungo la strada. In effetti qui, a venti passi da me, terminava Roquenval e si snodava il vecchio recinto di pietra.



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